A fare l'impasto son buoni tutti. In teoria. Ma tirare la sfoglia come va tirata è un’arte. I manuali di cucina insegnano la tecnica del movimento: “gesto ampio, pressione costante e uniforme, schiacciare e tirare, premere con braccio e dita”.
di Giancarlo Sammartino
Conosciuto come “fistola” ai tempi dei Latini e come “mattero” tra le popolazioni celtiche dell’Est Europa, il mattarello era già usato ai tempi degli Etruschi, come dimostra la Tomba dei Rilievi di Cerveteri, dove ne sono stati trovati diversi. Fino al Rinascimento lo usavano solo in grandi e attrezzate cucine delle residenze aristocratiche e in quelle dei monasteri. Poi si è diffuso tra tutti gli appassionati di pasta fatta in casa e di pasticceria.
Col mattarello non si improvvisa. Deve avere delle misure precise: un cilindro di legno tornito con un diametro di 5-8 centimetri circa e può essere di varia lunghezza, in genere dai 50-70 cm e ha sempre due pomoli o due manici alle sue estremità.
Esistono matterelli in marmo, acciaio, alluminio o materiale plastico antiaderente. È indispensabile per molte preparazioni come la pizza, la sfoglia per le lasagne, le tagliatelle, le fettuccine, i ravioli, oltre a essere usato anche per spianare impasti per dolci come le crostate.
Ogni cucina regionale lo chiama a modo suo: nel grossetano è il lansagnolo, in Abruzzo lu stennamass, in Sicilia lasagnaturi. In romanesco è usualmente chiamato stennarello o stennerello, dal verbo “stènnere”. Da non confondere con lo stendere il marito quando viene ricorso dalla moglie con il mattarello. Quelle sono altre questioni in cui non vogliamo entrare.