Pochi frutti sono associati alla calura estiva come il cocomero. Piace a tutti, grandi e piccoli, è gradevolmente rinfrescante e pure bello!
L’aspetto, verde lucido sulla buccia e rosso vivo all’interno, non deve essere l’ultima ragione del suo successo. Anche i larghi semi di colore scuro si fanno notare e in alcune regioni della Cina mangiano anche questi, dopo averli leggermente tostati. Ma l’altissimo contenuto d’acqua, superiore alla maggior parte degli altri frutti, è la ragione che rende il cocomero così gradevole nelle giornate afose, giusto quando l’appetito viene a mancare. Quest’abbondanza di liquido spiega anche il suo peso, che può arrivare a 40 chili (ma solo in particolari varietà). Il contenuto di zucchero è ben proporzionato, così che il gusto risulta gradevole e “facile”, tanto che ne mangiamo facilmente una certa quantità: a considerare il peso, potremmo sorprenderci… Condizione praticamente necessaria, però, è il consumo a temperatura fresca: è vero che è sconsigliabile esagerare in questo senso, e che non è mai salutare mettere nello stomaco alimenti freddi in quantità (particolarmente se, come spesso accade, mangiamo il nostro cocomero alla fine di un pasto); tuttavia immaginare di consumarlo a temperatura ambiente non è troppo stuzzicante. Quando siamo a casa mettiamo il frutto nel frigorifero qualche ora prima del consumo e, se abbiamo poco tempo, tagliamolo a pezzi, così da facilitare il raffreddamento. In ogni caso cerchiamo di acquistare sempre un esemplare maturo.
La pianta fa parte della famiglia delle Cucurbitacee, come zucche, meloni e cetrioli a cui somiglia nella consistenza della polpa. Il fusto è strisciante, ed ha bisogno di notevole irrigazione: c’è comunque chi la coltiva anche nell’orto di famiglia. Le origini del cocomero sono africane: veniva coltivato dagli antichi egiziani, come risulta dalle illustrazioni di alcune tombe, ma sembra che sia arrivato in Europa solo molto più tardi. Oggi è prodotto in tante parti del mondo, e in Italia soprattutto in Puglia, nel Lazio e in Emilia-Romagna. La raccolta, a seconda delle zone e delle varietà, avviene tra giugno e settembre, garantendo una presenza continua sui mercati. Data la pesantezza del frutto, le quantità prodotte sono impressionanti, raggiungendo facilmente i cinquecento quintali ad ettaro.
Le varietà di cocomero più comuni sono la (relativamente!) piccola Sugar Baby, rotonda e dalla buccia scura; e la Crimson Sweet, leggermente ovale e dal verde più chiaro e screziato: è questa la più comune nel nostro paese. Ma si trovano in vendita anche tipi più particolari, come la chiara e grossa Charleston Gray dalla forma molto allungata.
Il cocomero si presta ad un consumo semplice: non ha bisogno di cotture o preparazioni particolari, tuttavia può essere sfruttato come ingrediente nelle macedonie, dove dà colore e liquido. Si può anche preparare una bella sangria con il cocomero, magari utilizzando anche qualche fetta del suo cugino cetriolo.
Si dice cocomero o anguria?
Come accade spesso in Italia, regione che vai… nome che trovi! I botanici usano la curiosa denominazione Citrullus lanatus, mentre cocomero (dal latino cucumis) è il nome più diffuso, e anche quello “ufficiale”.
Al nord si usa piuttosto anguria, termine di origine greca, mentre al sud prevale melone d’acqua, curiosamente simile all’inglese watermelon (ma è spesso abbreviato in mellóne). In Liguria viene ancora usato pasteca (vedi il francese pastèque), mentre in Calabria troviamo il curioso zi pàrrucu (zio parroco).
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