Il gigante e le sue vigne

Pubblicato il 04/02/21
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Etna

Come si vive a due passi da un vulcano attivo, molto attivo? Se lo chiedete ai siciliani dei paesi che sorgono lungo i fianchi della montagna che sbuffa, vi risponderanno: “Non male…basta avere rispetto e pazienza”. Ed essere pronti, si dovrebbe aggiungere, Perché l’Etna non incombe silenzioso e possente come altri vulcani da secoli assopiti. L’Etna è vivo, rumoreggia, ogni tanto sputa fumo e cenere, fuoco e lava. Nei secoli precedenti, le colate di lava hanno anche distrutto interi paesi fino ad arrivare a Catania e al mare (nel 1669), mettendo a dura prova la forza degli abitanti. Che con il vulcano convivono: lo temono, lo rispettano, immersi in un paesaggio segnato dalla sua presenza. I colori delle piante, dei fiori, del cielo stesso, del mare e della neve contrastano col nero della pietra lavica, costruiscono cromatismi unici che attraggono visitatori da tutto il mondo.


I vigneti sull’Etna

Ma il turismo non è la sola ricchezza generata dal vulcano. Ce n’è un’altra che forse ancor di più spiega perché, al di là del legame che si conserva con la terra natia, gli abitanti della zona si ostinino a vivere in paesi ad alto rischio sismico e lavico. Quasi a compensare coloro che resistono alla paura, l’Etna ha reso fertilissimi i terreni che la circondano, che si prestano a una vasta gamma di colture. Formata dalla disintegrazione di vari tipi di lava e da cenere e sabbia, tutte di epoche diverse, la terra è molto ricca di minerali nutrienti come ferro, rame, fosforo, magnesio e altri. Gli oliveti, i noccioleti, i castagneti, gli ortaggi, le fragole, le mele, i famosi pistacchi di Bronte da secoli, dai tempi cioè dei primi grandi riformatori agricoli, gli arabi, avvolgono i fianchi della montagna e ne caratterizzano le zone, a seconda della vocazione agricola, dell’altitudine, dell’esposizione.

La vite sull’Etna è presente fin dalla più remota antichità; è coltivata dai Siculi, ma sono i Greci a svilupparne la produzione, migliorando le tecniche agricole. I vini etnei sono apprezzati in epoca romana nella capitale e in tutta l’area mediterranea. Col passare dei secoli diventano protagonisti di scambi commerciali e in epoca moderna vengono imbarcati al porto di Riposto alla volta della Francia, destinati a tagliare e dare corpo ai vini francesi. Il successo del comparto vitivinicolo (dovuto anche alla riforma agraria del 1812) spinge i contadini ad ampliare la superficie vitata che, così, si innalza di quota. I terreni pietrosi e scoscesi del vulcano impongono una diffusa opera di dissodamento e di costruzione dei muretti a secco di pietra lavica, che contribuiscono a formare monumentali terrazzamenti per i vigneti.


Etna Rosso, la prima DOC siciliana

Su tre versanti del vulcano (tutti quindi, tranne quello occidentale che guarda il resto della Sicilia) crescono oggi rigogliose le vigne. A poterle guardare dall’alto, si noterebbe questa sorta di “C” rovesciata, che formano cingendo il nord, l’est e il sud della montagna, a un’altitudine compresa tra i 400 e i 1100 metri. Vigne d’altura quindi dalle quali si producono diversi tipi di vino; il più conosciuto, vinificando uve di nerello mascalese e di nerello cappuccio, nelle percentuali le prime dell’80% e le seconde del 20%, è l’Etna Rosso. È stato il primo vino in Sicilia ad ottenere nel 1968 la DOC (denominazione di origine controllata) ed ha caratteristiche peculiari che lo differenziano dagli altri rossi siciliani, dovute essenzialmente al clima ed alle precipitazioni che intorno al vulcano sono diversi rispetto al resto dell’isola. Ma anche tra un Etna Rosso di un produttore e un Etna Rosso di un altro produttore si possono percepire particolarità dovute a microclimi che cambiano a seconda della zona, dell’esposizione o, ad esempio, dalla lontananza o meno dal mare.

Insomma un vino complesso ma facile da apprezzare, di elevata gradazione alcolica (12,5 minimo), di colore rosso rubino che invecchiando presenta leggeri riflessi di granato, o meno spesso di colore rosato tendente al rubino. L’odore è vinoso, con profumo intenso, caratteristico, mentre il sapore è secco, caldo, robusto, pieno, armonico. Va servito a temperature di 16-18 °C, accostandolo a carni rosse, formaggi stagionati e salse di tipo strutturato.




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