NESSUN CUOCO NE PUÒ FARE A MENO. NE ESISTONO PER OGNI ESIGENZA, SERVIRE A TAVOLA, CONDIRE CON UNA SALSA, IMPREZIOSIRE LE PARETI DI CASA.
di Giancarlo Sammartino
In Abruzzo si dice cuppìn o manière e indica sia l’attrezzo che la volontà di far male (t’ tir nu cuppìn, ti do uno schiaffo). Cuppìn è usato pure in Puglia (con il sinonimo di cucchiarella), Calabria, Basilicata dove però si dice anche rimminu. Nel Lazio lo si può indicare addirittura in quattro maniere: ciondale, manéru, scolemareglio, sgommarellu. In Emilia Romagna lo indicano come il casù, il misclòt (a Bologna) e il mìscul. In Liguria è la cassa, in Lombardia il casùl o la caza mentre nelle Marche è il cammarò. Infine, come in una battuta dello sketch dei sardi di Aldo Giovanni e Giacomo, mestolo in sardo si dice Trudda Pasthusadda (quello bucato, cioè la schiumarola)
Pellegrino Artusi, l’inventore della cucina italiana, nel presentare il suo fondamentale manuale, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, datato 1891, diceva che poteva essere “letto da chiunque riuscisse a tenere un mestolo in mano”, riferendosi all’attrezzo come accessorio indispensabile in cucina.
Il mestolo ci aiuta in cucina da tempo immemorabile, ma non da sempre. Pare infatti che nel Neolitico non se ne facesse uso, visto che non sono mai stati trovati dei reperti che ne testimoniassero l’esistenza, a differenza del cucchiaio che invece era largamente presente.
Esistono mestoli per ogni cucina e per ogni preparazione: mestoli per servire a tavola, da salsa (piccolo con un beccuccio), piccolissimi per estrarre le ciliegie sotto spirito dai vasetti, con il fondo forato per sgocciolare o grandi, da mensa, che possono arrivare ad una capienza di un litro.
C’è poi il mestolo forato che si chiama schiumarola. Il materiale più comune con cui viene costruito è il metallo: alluminio e acciaio inox; quelli realizzati un tempo erano in alpacca, rame, ottone o ferro smaltato, più raramente in legno. Gli esperti avvisano che se il mestolo è in argento ed appartiene ad un servizio di posate, è da considerare parte dell’argenteria. Chi ha il mestolo in mano fa la minestra a modo suo, dice il porverbio.