LO SCRITTORE NATO A SESTRI LEVANTE RICORDA IL PROFUMO DEL BASILICO LAVORATO CON IL MORTAIO DI MARMO
E IL PESTELLO DI LEGNO.
di Giuseppe Cesaro
Sono nato sul tavolo da pranzo di una casa equidistante da due mari: la “Baia del Silenzio” e la “Baia delle Favole”. Sarà per questo che amo così tanto le parole e fatico a rimanere attaccato alla realtà. Era la casa dei nonni: rossa, persiane verdi, tetto di ardesia e una rigogliosa buganvillea, le cui brattee color porpora avvolgevano la facciata, come una sciarpa di seta il collo di una nobildonna. I nonni erano belli come due star del muto. Lei - grande cuore e grande sorriso - aveva occhi del colore del mare quando il cielo prova a mettergli le mani addosso. Lui - genovese d’Argentina - era nato nella Terra del Fuoco, e quel fuoco se lo portava dentro, procurando ansiti irregolari ai cuori delle fanciulle che incrociava. Estate significava viverli.
Più dei bagni interminabili, però, del basket, delle nottate di chitarre e ragazze, e persino più dell’odore del mare, era il profumo del basilico a turbare la mia coscienza di adolescente. Come diavolo facevano foglie così piccole a emanare essenze capace di stordire? Le vacanze odoravano di lui e del modo misterioso nel quale la nonna lo mischiava all’olio di un antico frantoio, che aveva un nome che suonava come un dubbio ma il cui sapore era la più solida delle certezze. L’olio dei Cappuccini, lo chiamava, perché prodotto su terrazzamenti edificati dai frati in un tempo troppo lontano persino per lei. “Pesto genovese, non alla genovese”, precisava, liberando tutta la saudade del suo zeneise. “Pesto ce n’è uno solo”, spiegava. Mortaio di marmo, pestello di legno: altro, sarebbe stato eresia. Aglio dolce (uno spicchio ogni trenta foglioline), sale, pinoli, parmigiano, pecorino ed extravergine, una goccia alla volta. “Ruotare, non pestare”, aggiungeva, infine, con l’eleganza perentoria de Bond di “agitato, non mescolato”. Le sue trenette erano un’esperienza mistica. Unforgettable. Persino più di Sean Connery.