Come combattere il clima impazzito con il merluzzo e le michette (ma non credo sia la soluzione definitiva)

Pubblicato il 06/10/22
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Diego Parassole e Germano Longo ci raccontano la crisi climatica quando dal caldo passa improvvisamente al freddo. E il ruolo della corsia dei surgelati al supermercato.

di Diego Parassole & Germano Longo

 

Vi vedo, non provate a nascondervi. So bene che da qualche giorno vi siete tuffati a pesce negli armadi di casa vostra, alla ricerca di una “felpina”. Il tanto sospirato maglioncino da mezza stagione che salva dai primi raffreddori, visto che al mattino e alla sera – finalmente - fa fresco. Evviva.


Roba che fino ad una manciata di giorni fa era impensabile: ricordate? Per almeno tre mesi, un caldo sub-equatoriale ci ha letteralmente sciolti, liquefatti, costretti a passare ogni giorno dallo stato solido a quello gassoso. Snocciolavamo l’elenco completo dei Santi ogni volta che ci toccava uscire con la macchina, dopo aver scoperto che l’ombra sotto cui l’avevamo lasciata era ormai svanita da ore, almeno a giudicare dalla temperatura del volante e dalle gambe, letteralmente “brasate” dai sedili in “simil quasi eco pelle”.

Ed eravamo decine a perdere tempo nelle corsie dei surgelati, al supermercato, tutti con la stessa espressione depressa, guardando con bramosia quasi sessuale sogliole e platesse coperte di ghiaccio. Ho visto gente prendere di nascosto due fette di tonno pinna gialla, ma non per rubarlo, macché: se le sono infilate sotto le magliette, all’altezza delle ascelle, sospirando di piacere. Un giorno un tizio l’ha fermato la sicurezza: finito il tonno aveva scelto due merluzzi. Gli fanno, “scusi lei, ma quelli li compra o cosa?”.

“Cosa”, ha risposto lui rimettendoli a posto.

Erano le settimane in cui uscire di casa voleva dire rischiare la vita: tutti incacchiati, nervosi, irritabili. Una sagra di “vaffa” e dita medie alzate al vento. Perché il caldo esaspera, è un fenomeno collaterale alla convivenza cittadina ancora tutto da esplorare, secondo cui la temperatura esterna si alza in modo direttamente proporzionale all’uso delle mani. Dai 35 gradi in su scatta la necessità di esprimersi a sganassoni, evitando inutili parole di circostanza.

A me è successo un giorno, più o meno verso la metà di agosto: guidavo ad una velocità da diporto, attento a non superare i 12 km/h per consumare meno benzina possibile. Ho messo la freccia, aspettato il verde e subito dopo svoltato ad un incrocio, così come recita il codice della strada. Ma un simpatico signore con il volto color braciola non solo mi ha insultato, ma mi anche seguito con la chiara intenzione di farmela pagare. Al semaforo successivo, quando gli ho chiesto cosa avessi fatto, lui mi ha semplicemente urlato “ma come caxxo giri?”.

E io: “Beh, sa come funziona per la strada: dovevo andare di là e messo la freccia proprio verso la direzione che mi era più utile”.

E lui: “Eh la freccia... Credono di poter mettere la freccia e girare dove gli pare, sti’ idioti…”

Boh. Sapevo che nel manuale dell’automobilista corretto, una cosa introvabile in Italia, fosse lecito insultare chi la freccia non la mette, ma a quanto pare non sono aggiornato.

Eppure sono certo che quel signore non era matto, ma solo in preda ad un attacco di ira da ebollizione. Anni fa, ho letto che lo psicologo Craig Anderson si era messo in testa di dimostrare l’influsso del caldo sul sistema nervoso centrale del genere umano. Quattro studenti universitari sono stati sottoposti a un esperimento che consisteva nel vedere alcuni video di coppie impegnate in una discussione: mentre la prima era per lo più tranquilla, le altre avevano un’intensità crescente che sfociava in un litigio. Ognuno dei quattro studenti era seduto in stanze diverse, con temperature molto differenti che andavano da 14 a 36 gradi. Alla fine, è arrivata la conferma delle teorie di Anderson: gli studenti rimasti “al fresco” tendevano a giustificare il comportamento della coppia mostrata nei video. Quelli costretti alla canicola hanno dato invece giudizi sui due litiganti che sfioravano la pena capitale.

Tutto questo, per ricordare che fra qualche settimana – complici anche le bollette – avremo la necessità opposta: quella di scaldarci. E siccome la sfiga ama tanto viaggiare in tandem, sarà quasi sicuramente un inverno glaciale. E allora ci ritroveremo ancora tutti al supermercato, costretti a mettere due michette appena sfornate sotto le ascelle.

Dal caldo al freddo, dimenticando il primo per pensare al secondo, in uno spostamento della soglia di attenzione che fa scordare il passato pensando al presente, ma evitando con cura di occuparci del futuro. Ovvero del perché le stagioni sono sempre più estreme, e noi anche.