La circolarità del saper fare in cucina secondo Claudio Sadler

Pubblicato il 22/02/22
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Cucina moderna in evoluzione: l'approccio dello chef milanese è un metodo aperto all’innovazione, nel rispetto dell’ambiente e del recupero.

di Giulia Marcesini

 

Il tratto comune della cucina di Claudio Sadler, stella Michelin a Milano e al Gusto By Sadler presso il Baglioni Resort Sardinia di San Teodoro in provincia di Sassari, è la costante ricerca dell’armonia, della semplicità e della leggerezza. Un delicato equilibrio tra fedeltà alle tradizioni della cucina regionale italiana e reinterpretazioni illuminate dalla creatività e dalla sensibilità artistica dello chef. Il tutto nel pieno rispetto della circolarità in cucina. 

 

“Rifiuti zero” in cucina è un’ambizione in cui lei si riconosce?

Più che un’ambizione, per chi lavora in cucina, il “non si butta via niente” è sempre stata la prima regola.

Come è cambiata la gestione degli scarti in cucina? Esistono una cucina degli scarti e una cucina della sostenibilità?

Parliamo di un’unica cucina, quella del recupero, che esiste da sempre, e da sempre è basata su scelte economiche precise. Siccome la materia prima di qualità costa, lo chef deve impegnarsi in tutti i modi per recuperare tutte quelle parti che per fare determinati piatti non utilizza. E recuperando crea.

Quale ruolo pensa che avrà l’economia circolare nel futuro del food?

Uno spazio sempre più importante, soprattutto nella ricerca e nello sviluppo del food, sia dal punto di vista industriale che artigianale. Noi chef oggi dobbiamo fare scelte sostenibili, responsabili, etiche e quindi circolari. Non ci sono altre scelte possibili.

Ultimamente le è capitato di sostituire alcune materie prime, facendo delle scelte più etiche e più rispettose verso l’ambiente?

Assolutamente sì, partendo da uno dei miei piatti più richiesti, il foie gras. Adesso scelgo il fegato da oche che non subiscono il gavage, ovvero la tortura dell’alimentazione forzata.

Quanto influisce il territorio e la scelta KM0 nella definizione della sua cucina?

La mia non è una cucina di territorio, ma una cucina creativa che rivisita i piatti della tradizione italiana. Pertanto per me non pesa molto il km 0 quanto piuttosto le scelte – sempre basate sulla qualità – di produttori che seleziono con cura in tutta la Penisola.

Cosa significa fare cultura in cucina?

Saper offrire al cliente un piatto in grado di creare sensazioni e al tempo stesso suscitare emozioni. E spesso sono i piatti più semplici quelli che emozionano di più.

Cosa intende per “trasmettere al futuro”?

Oltre alla voglia di ripartire, alle nuove generazioni di chef vorrei trasmettere il messaggio di non fare cose complicate, ma di realizzare piatti che anche le altre persone possono apprezzare e gustare senza per forza dover fare elucubrazioni mentali troppo complesse.

Qual è il principale diritto del consumatore che uno chef deve sempre garantire?

La sicurezza alimentare e il sorriso di chi ti accoglie in sala.