L’economia circolare e la raccolta differenziata, ovvero dateci le mosche da centrare (e vivremo meglio)

Pubblicato il 23/06/22
Tempo di lettura: 6 minuti

Diego Parassole ci racconta (a modo suo) l’economia circolare dei rifiuti.

di Diego Parassole in collaborazione con Germano Longo.


Immaginate 78 milioni e 200mila SUV, diciamo di BMW X5, impilate l’una sull’altra. Una montagna di dimensioni difficilmente immaginabili.

Ora provate per un attimo a tenere a mente questo numero.

Perché sto per parlare di economia “circolare”, che sarebbe quel sistema economico ideale basato sulla meravigliosa idea che tutto si possa ricondizionare, riciclare, riparare. In pratica, ciò una volta era rifiuto possa tornare ad essere materia prima, guadagnandosi una nuova vita. Come normalmente avviene in natura, e per alcune soubrette della tivù. Ma non per gli stessi motivi.

In pratica, detto in un altro modo, i rifiuti in natura non esistono: lo scarto di una specie diventa risorsa per un’altra. I rifiuti, come li intendiamo noi, li ha inventati il genere umano al solo scopo di produrre roba sempre più nuova e attraente, così tanto da farci pensare che qualcosa non va più, è vecchio. Da buttare, appunto.

E che il messaggio sia passato facilmente lo dicono i dati: negli ultimi 5 anni, i consumi sono cresciuti dell’8%, superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima. Per contro, solo il 3% di questi è destinato a finire nel cerchio virtuoso del riutilizzo: il resto farà parte dei 180 milioni di tonnellate di rifiuti, divisi in 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e 150 speciali che tutti insieme ammorbano l’aria e pretendono spazio.

Lo spazio e il peso, appunto, di 78 milioni e 200mila BMW X5 accatastate l’una sull’altra.

Per iniziare a fare la nostra parte, negli anni ci siamo abituati a fare la raccolta differenziata. Ma ogni tanto mi convinco che se chi la organizza ci rendesse le cose più semplici, potremmo ottenere risultati decisamente migliori, e con sforzi minimi.

Provo a lanciarmi in un esempio: nel comune dove abito siamo da poco passati alla raccolta porta a porta. È davvero importante raccogliere i rifiuti per trasformarli in risorse, sono pienamente d’accordo. Ma a parte la seccatura del “metti fuori il bidone, porta dentro il bidone” in giorni precisi, che ha trasformato ognuno di noi in dipendenti della nettezza urbana (ci verseranno almeno i contributi?), in qualche caso gestire la situazione diventa davvero complicato.

Ne butto lì una, giusto per capirci: la raccolta dell’umido. Io vivo e lavoro tra casa (Tortona), Milano e… varie parti d’Italia. Se un giorno mangio pesce, ovviamente butto gli scarti nell’umido. Il fatto è che se poi devo partire e non è giorno di raccolta non lo posso certo abbandonare lì. Così mi ritrovo a partire col mio sacchettino di rifiuti in auto per portarlo a Milano, la mia principale sede di lavoro. Il bello arriva quando il fetido sacchetto dell’umido lo dimentico in macchina, magari parcheggiata sotto il sole.

Mi è capitato. E non solo una volta.

Mettiamola così: se passate a Milano e vedete un’auto circondata dai gatti, è quasi certamente la mia. Sì, lo ammetto cercando di rimanere ugualmente umile: la mia è l’auto più amata dai gatti del quartiere e i vicini pensano che io non usi i carburanti tradizionali ma la mia sia la prima auto al mondo alimentata a fritto misto!

Altro esempio? L’olio, quello che avanza dalla preparazione del cibo o che riempie fino all’orlo le scatolette del tonno. Sull’opuscolo che ci hanno consegnato quando è partita la raccolta porta a porta raccontano quanto sia importante non sprecare nulla, neanche quello. Peccato che nessuno aggiunga quella che dovrebbe essere la riga finale: dove va messo?

Un giorno, un po’ di tempo fa, mi sono intestardito a voler risolvere l’arcano, e dopo aver raccolto in due bottigliette l’olio che avanzava in casa mi sono presentato in un supermercato della zona, dove mi hanno spiegato gentilmente che loro non erano attrezzati, ma forse un altro market poco distante copriva il servizio. Parto, entro con le mie bottigliette in mano, sotto lo sguardo di un addetto alla sicurezza che guardandomi stava forse trovando conferma all’idea che il mondo ormai va al contrario: era abituato a vedere le bottiglie di olio uscire, ma non rientrare nel supermercato.

Comunque sia, la risposta della signorina al box informazioni non è cambiata: spiacente, ma non sapremmo dove metterlo. Così, mi spiegano che esiste un’area ecologica a Castelnuovo, ad una decina di km da dove vivo, che secondo voci non confermate dovrebbe essere attrezzata con bidoni per i residui di olio casalingo. È un paradosso: fare 20 km in auto per recuperare le 2 bottigliette d’olio credo sia un vero spreco. Perplesso, mi viene in mente di versare il contenuto delle bottigliette nel serbatoio della macchina. Ma non vorrei che i resti delle cipolline sottolio scatenassero la protesta degli iniettori.

A quel punto mi chiedo cosa devo fare, e le penso tutte: per smaltirle potrei mescolare l’olio al balsamo di mia moglie, cosa che renderebbe i suoi capelli ancora più lucenti ma forse accompagnati dal fastidioso odore di fritto di pesce, oppure dispenderlo a piccole dosi nella merenda di mia figlia, ma neanche quelli di MasterChef riuscirebbero e rendere appetibile l’olio del tonno su una merendina.

Così mi rassegno e vado in discarica, dove chiedo: - Scusi ma per smaltire l’olio non c’è un centro raccolta in città? - Non ne sappiamo niente, mi rispondono. Ma le bottigliette le lasci pure qui. Ho appoggiato le mie due bottigliette per terra e dopo averle salutate con affetto – dopo esserci fatti compagnia per tanti chilometri – e sono ripartito.

E qui, mi sia concesso, è arrivata l’ora di tirare fuori le teorie di Richard Thaler, l’economista americano premio Nobel nel 2017, uno dei padri dell’economia comportamentale. Thaler ha costruito una carriera sulla certezza che suggerimenti positivi o aiuti indiretti possano influenzare le decisioni della gente forse più di leggi, obblighi e possibili multe. Insomma si tratta di indirizzare il comportamento delle persone con quella che lui chiama nudging: la “spinta gentile”.

L’esempio più celebre è quello delle finte mosche degli orinatoi sistemate nei bagni dell’aeroporto di Schipol, ad Amsterdam (e ormai in molti centri commerciali italiani, io ad esempio le ho viste all’Outlet di Serravalle e di Fidenza): è scientificamente provato che gli uomini dirigano il getto contro la mosca, con l’incredibile risultato di “farla” dentro, per una volta. In pratica, invece dei soliti cartelli con frasi più o meno in rima che invitano a centrare il buco, è bastata una mosca adesiva per eliminare il fastidioso effetto a idrante, quello che in lingua inglese viene definito “spillover”. E questo, oltre alle più elementari questioni di igiene, porta ad un risparmio dei cicli di pulizia e di conseguenza ad un uso minore di detersivi.

Ecco, è esattamente il concetto che volevo suggerire a chi prende le decisioni: quando pensate di migliorare la raccolta rifiuti, rendete la vita facile a noi cittadini. Dateci, come direbbe Thaler, una spinta gentile che ci porti al comportamento giusto… Basta una spintarella, non uno spintone!

Insomma ricordatevi sempre della mosca finta. Funziona, lo dico io che modestamente l’ho colpita più e più volte. Oppure assumeteci come dipendenti, e dateci una giornata di ferie in più, per avere il tempo di andare in discarica.


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