Vi racconto l’alfabeto della rinascita. E c’è anche la “V “ di VéGé

Pubblicato il 05/04/22
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Il Gruppo VéGé è stato inserito dal sociologo Francesco Morace tra le 26 aziende esemplari che vanno a comporre l’alfabeto della rinascita italiana. Un sillabario che va a comporre il Manifesto dell’Italian Human Design proposto nel libro: sulle risorse di sensibilità e di intelligenza che esistono nelle persone, negli imprenditori e nei loro collaboratori, nelle aziende e nei loro territori. Per gentile concessione dell'autore e dell'editore, pubblichiamo un estratto dell’introduzione al saggio dedicato, L’alfabeto della Rinascita.

di Francesco Morace


L’alfabeto della rinascita comincia con la S, e cioè con lo Sport. Il più grande attivatore di entusiasmi e sogni collettivi che gli umani abbiano mai concepito, a partire dall’invenzione delle Olimpiadi nell’antica Grecia. La dimensione utopica che permette ai bambini di sognare una medaglia d’oro, con la bandiera dell’Italia che sale nel cielo e l’inno di Mameli da cantare a squarciagola. In due mesi abbiamo vinto gli Europei di calcio dopo 53 anni e gli Europei nel volley sia femminile sia maschile, i cento metri maschili (mai raggiunta neanche una finale), la staffetta maschile 4x100, il salto in alto e le due marce 20km maschili e femminili. Abbiamo superato il record di medaglie alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, vincendo in tante diverse discipline. Mai successo. Abbiamo vissuto il giorno più esaltante dello sport azzurro di tutti i tempi: primo agosto con due giovani (Jacobs e Tamberi) che si abbracciavano stravolti dalla felicità e un popolo intero che si è abbracciato con loro.

«Nell’abbraccio tra queste due vite c’è il nostro futuro. C’è tutta la forza di persone che hanno creduto nei loro sogni e soprattutto hanno saputo proteggerli da chi li voleva diversi, da chi consigliava di ridimensionare, rivedere, rivalutare perché, insomma, siamo italiani e non abbiamo le risorse, la base, i numeri per competere con mondi più quotati. Non abbiamo i geni e il DNA per andare più veloci di tutti. Invece no, 12 minuti per smentire ogni stereotipo e viaggiare a una velocità stratosferica, 48,3 Km/h per la precisione, oltre il profilo disegnato per limitarci, 12 minuti per superare, a quota 2 metri e 37 ogni pensiero vincolante. Noi possiamo correre e saltare, possiamo vincere, anche in una gara dopo l’altra come fanno gli americani.» Questo il commento del giorno dopo di Giulia Zonca, giornalista de La Stampa.

In genere momenti come questo sono irripetibili. E invece dopo quattro giorni la storia impossibile si ripete: la staffetta italiana vince la medaglia d’oro con quattro giovani atleti e il gesto memorabile del passaggio di testimone, una dimostrazione di sintonia collettiva molto rara in Italia e mai vista sulle piste d’atletica. Il motto olimpico recita: «Citius, Altius, Fortius», più velocemente, più in alto, con più forza. Incredibilmente l’Italia si è dimostrata la nazione più veloce e completa del mondo. Abbiamo vinto l’oro anche nel taewondo e nel karate. A modo nostro: Italian way. Sono state le Olimpiadi e Paralimpiadi degli eroi fragili: di chi come Gimbo Tamberi e Vanessa Ferrari ha avuto terribili infortuni e ha combattuto per risalire la corrente, fino alla conquista della medaglia tanto agognata, o delle tre ragazze (Sabatini, Caironi, Contrafatto) che dopo aver perso una gamba, si sono ritrovate sul podio tutto italiano dei 100 metri paralimpici. Con l’altra faccia della medaglia dedicata alle giovani generazioni. Debuttanti che per la prima volta alle Olimpiadi hanno sbancato: primo tra tutti Marcel Jacobs e poi i suoi compagni di staffetta. E poi Federica Cesarini e Valentina Rodini che hanno vinto la prima medaglia d’oro femminile nella storia del canottaggio italiano.

L’Italia è fatta così. Riesce nelle imprese impossibili e in quelle prevedibili spesso fallisce: come il Settebello campione del mondo in carica che ha dovuto accontentarsi di un deludente settimo posto. Il propellente italiano è l’utopia. Lo è sempre stato nella storia. Dall’Impero Romano al Rinascimento, fino all’Italia della Ricostruzione e del boom economico. Le imprese utopiche ci corrispondono: dai navigatori Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci fino ai viaggi impossibili di Marco Polo. Come ha scritto Maurizio Crosetti sul Corriere della Sera: «Lo sport italiano si è preso le due settimane più belle dopo l’anno e mezzo più tremendo, ed è probabile che un filo robusto leghi tutto. Come se ci fossimo tenuti dentro l’energia insieme alla paura, e un’inaudita voglia di felicità. Poter ricordare tutto questo sarà un dono grande».

È questa l’ipotesi di fondo che proponiamo in questo lavoro: la pandemia, che ci ha travolti per primi nel mondo occidentale, può diventare il propulsore inaspettato della Rinascita a cui nessuno avrebbe creduto solo un anno fa.

 

(…)

Perché l’alfabeto


Ci aspettano anni di ripensamento e ridefinizione dello scenario di vita, in cui l’investimento non sarà solo economico e finanziario, ma anche umano e culturale: un intero Paese dovrà mobilitarsi in questa direzione. L’alfabeto della rinascita si propone di avviare un percorso originale in questo scenario, partendo dal mondo dell’impresa in tutte le sue componenti sull’intero territorio nazionale: aziende familiari come Alessi e Berlucchi, Herno, Lago e Inglesina; il tessuto delle imprese di eccellenza tecnologica come Cosberg, Opto Engineering e Pedrollo; imprese culturali come Treccani e Unione Nazionale Consumatori; il mondo dell’eccellenza artigiana e industriale nell’auto, nella meccanica, nell’arredo, rappresentato da Dallara, Kartell, Rotaliana e Zanotta; il polmone finanziario con Nexi; l’arcipelago delle startup di valore come AideXa, ma anche alcuni giganti, vanto dell’industria in settori strategici come le telecomunicazioni (Fastweb), l’alimentare (Granarolo, Melinda), il turismo e la salute (QC Terme), la GDO (Sofidel, VéGé) e l’elettronica di consumo (Expert).


Il progetto di «rinascita oltre la pandemia» vuole coinvolgere infatti aziende piccole, medie e grandi (partendo da startup di successo per arrivare a grandi gruppi) che costituiscono la spina dorsale dell’Italia che produce eccellenza.

Abbiamo pensato di concentrarci su aziende italiane o con una forte presenza in Italia (come nel caso di Würth), che esprimono una vocazione etica e sostenibile, al di là della logica della notorietà che ci porta a pensare a Enel ed Eni nell’energia, a Intesa e Unicredit nel mondo bancario, ad Armani e Prada nella moda, a Barilla e Ferrero nell’alimentare, a Esselunga o a Coop nella GDO o a Ferrari nel lusso. Ci interessa l’Italia «di mezzo», della qualità accessibile, in cui «il saper fare», espresso attraverso il design e il gusto di vivere, gioca – insieme all’automazione delle macchine – un ruolo decisivo. Ne abbiamo individuate 26, dalla A alla Z, la cui storia si dipana in un secolo (dal 1921 di Alessi al 2021 di AideXa). Le scelte sono state realizzate in assoluta autonomia valutando origini, progetti e visioni: nelle nostre intenzioni andranno a scandire con le loro storie un alfabeto dell’eccellenza imprenditoriale, un manuale di istruzioni utile a chiunque voglia fare impresa. Un abbecedario delle utopie d’impresa che possano ispirare, stimolare, insegnare, educare.

 

Eccone la successione cronologica:

  • 1921 Alessi
  • 1925 Treccani
  • 1945 Würth
  • 1947 Yomo
  • 1948 Herno
  • 1949 Kartell
  • 1954 Zanotta
  • 1955 UNC (Unione Nazionale Consumatori)
  • 1956 Jacuzzi®
  • 1957 Granarolo
  • 1959 VéGé
  • 1961 Berlucchi
  • 1963 Inglesina
  • 1967 Expert
  • 1969 Sofidel
  • 1972 Dallara
  • 1974 Pedrollo
  • 1976 Lago
  • 1982 QC Terme
  • 1983 Cosberg
  • 1989 Melinda
  • 1999 Fastweb
  • 2002 Opto Engineering
  • 2006 Rotaliana
  • 2017 Nexi
  • 2021 AideXa

 

La straordinaria cavalcata realizzata nell’incontro con queste 26 aziende che accompagnano un secolo di storia italiana, dimostrando senza tema di smentita la paradossale «potenza di fuoco» dell’immediato dopoguerra tra i Quaranta e i Sessanta, propone un filo rosso resistente e riconoscibile che potrebbe diventare nel prossimo futuro il filo di Arianna per la rinascita dell’Italia auspicata nell’omonimo libro La Rinascita dell’Italia. Una visione per il futuro tra etica ed estetica aumentate. In questo libro – scritto nel corso della prima ondata pandemica e pubblicato il 24 giugno 2020 – parlavamo di un percorso di rigenerazione in otto passaggi tra cui l’approdo estetico e lo scambio intergenerazionale. Per uscire dal labirinto della crisi, questo filo segna la condizione stessa di tutti gli imprenditori e i manager che abbiamo incontrato e intervistato, e che può essere definita come la straordinaria e faticosa capacità, da parte dei protagonisti, di vivere il senso dell’impresa: sempre in prima linea e in prima persona. Anche in reti di imprese come Expert, Fastweb e VéGé che toccano l’intero territorio nazionale andando a incidere anche in quelle regioni meridionali (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) rimaste scoperte nella selezione che vede la presenza di Piemonte (Alessi, Herno), Lombardia (Berlucchi, Cosberg, Kartell, Nexi, Opto Engineering, QC Terme, X Instant, Zanotta), Veneto (Inglesina, Lago, Pedrollo), Trentino (Melinda, Rotaliana, Würth), Friuli (Jacuzzi®), Emilia-Romagna (Dallara, Granarolo, Yomo), Toscana (Sofidel), Lazio (Treccani, UNC).

 

Spesso si pensa che gli italiani – e quindi di conseguenza anche gli imprenditori italiani – siano individualisti. Nulla di più sbagliato. Gli imprenditori italiani – proprio come le persone «comuni» – partecipano, al contrario, con empatia alle vicende della loro famiglia, del loro cerchio di amici, del loro territorio, della loro comunità, e su questa empatia costruiscono le regole spontanee della loro attività, della loro condizione, della loro impresa.

Partendo dalla loro esperienza personale. Quindi non individualismo all’americana, ma personalismo all’italiana. Può sembrare una differenza sottile, ma al contrario un abisso divide queste due condizioni. L’individualismo è privato, determinato, spesso calcolatore, senza scrupoli, poco empatico, spesso molto performativo. Non si sente responsabile di nulla se non del successo proprio (e dei propri azionisti). Il personalismo è invece umorale, intuitivo, fragile, si fonda sulla capacità empatica di trasferire i tratti del proprio carattere. Lavora sulla relazione personale e non su obiettivi di crescita definiti a tavolino: la passione del fare prevale sul sogno di raggiungere un obiettivo economico. Con un forte senso di responsabilità.

 

L’individualismo trova la sua massima espressione nella visione strategica dei grandi capitalisti, il personalismo affonda le radici ancora oggi nell’ossessione dell’artigiano che vive i prodotti come creature partorite dal suo fare, e trova la sua massima espressione nella grande industria che ha saputo trasformare il pensiero artigianale in serie industriale. Per esempio inventando nuovi straordinari macchinari come hanno fatto Cosberg, Dallara, Inglesina, Kartell, Pedrollo, Opto Engineering, Sofidel.

Nel primo caso la strategia diventa braccio armato del potere quantitativo nello standard (i Ford, i Taylor), nel secondo caso la qualità materiale rimane espressione di un fare eccellente, sempre qualitativo, per quanto moltiplicato nel tempo e nello spazio (Michele Ferrero, Giorgio Armani ma anche Gian Paolo Dallara). In un paesaggio come quello odierno, attraversato da venti di crisi che plasmano le rocce dei nuovi paradigmi (Unicità, Sostenibilità, Tempestività, Condivisione), vivere la sfida dell’impresa in prima persona appare più interessante (e sul lungo termine vincente) perché si avvicina empaticamente alla sfida che è ormai anche quella del consum-autore. Rispondere personalmente delle qualità dei prodotti e dei processi, in una sorta di Facebook aziendale permanente, come dimostra la partecipazione di Unione Nazionale Consumatori a questo progetto, diventerà la regola per le aziende del futuro e l’Italian way sembra in grado di rispondere – per vocazione – a questa esigenza, a differenza del grande capitalismo trainato dalla finanza.

 

La sfida in Italia diventa però trasformare la prima persona singolare in prima persona plurale, trasformare l’io in noi, il personalismo in comunità integrata: Granarolo e Melinda sono forse gli esempi più indicativi in questo senso, ma anche Expert e VéGé si esprimono ormai decisamente in tale direzione: non una somma di imprenditori e di negozi sull’intero territorio italiano, ma una comunità che respira all’unisono con visioni e progetti comuni. Così come un prodotto finanziario come X Istant concepita da AideXa che sogna di sostenere il tessuto vitale delle micro-imprese.

L’unico a riuscirci davvero fu Adriano Olivetti con Comunità, e quello è l’esempio corretto da seguire. Accettando la sfida del proselitismo, e cioè del reclutamento relazionale e vocazionale, che si distacca da parametri puramente economici e si fonda su nuove regole di credibilità. Per uscire dal nanismo e dal problema dimensionale, dal provincialismo e dalla visione ombelicale, dal tatticismo e dall’invidia del territorio. Tutte le realtà che abbiamo visitato, tutti i dialoghi che abbiamo condotto, mostrano la possibilità di seguire questa strada, ma anche i limiti per i quali a volte i personalismi o i familismi ingabbiano le enormi potenzialità di aziende sane, centrate ancora oggi sulla qualità autentica dei prodotti e dei servizi. Imparando per esempio dai tedeschi di Würth e dalla forza della loro vendita diretta: in un tempo in cui tutto è disintermediato, scommettono sulla rete di migliaia di agenti sul territorio, escludendo l’ipotesi di raggiungere da soli il consumatore finale.

 

La varietà è per noi importante per segnalare che la sfida della piccola e media industria in Italia non conosce un unico possibile modello di sviluppo, ma al contrario deve mostrarsi in grado di declinare diversamente le sfide emerse adottando tuttavia alcuni princìpi irrinunciabili che in effetti si rivelano trasversali rispetto alle dimensioni e alle vocazioni di ciascuna azienda.